Disperse da Catone le anime per la campagna, vale a dire dispersi quei primi molesti pensieri, Dante si restringe a Virgilio suo fido compagno, osservando com'egli senza di lui non si sarebbe potuto trarre su per la montagna del Purgatorio; cioè il peccatore si affida tutto alla sua coscienza perchè gli metta davanti, e quasi gli ricordi le colpe che commise (Purg. C. III, v. 1-6). Ma poi veggendo l'ombra dinanzi a sè, perchè il sole lo feriva alle spalle e non mirando quella di Virgilio, si rivolge impaurito, credendo non lo avesse abbandonato il suo maestro (Ivi, v. 16-21). - Questo è timore che la coscienza non regga a ricordare i peccati. - Virgilio lo conforta e dice che è vespero colà dove sta sepolto il suo corpo che gli potea far ombra; e dimostra con ciò che l'anima che è sciolta dal peccato non può essere lasciata in abbandono dalla coscienza, la quale vede, appunto per essere libera da quel giogo, collo sguardo sincero e non ingombro. E soggiunge quindi che l'uomo deve aver fede senza cercare il perchè d'ogni cosa; e che il peccatore pentendosi non deve filosofare, ma rimettersi in Dio (Ivi, v. 22-45).
Intanto vengono appiè del monte. Non sanno da che parte cominci la salita per la roccia che si presentava erta e inaccessibile (Purg. C. III, v. 46-54). - Difficoltà e imbarazzo di conoscere da principio le colpe e ad una ad una annoverarle. - E mentre tenendo il viso basso esaminava Dante la sua mente intorno al cammino da fare, e mirava pur suso intorno quella roccia, veniva già verso di lui una gente d'anime sì lentamente che non pareva.
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