Pare l'autore abbia voluto dire che altrettanti sono i sensi da ricercarsi nella Divina Commedia, senza però averlo affermato. Ma supponendo ch'egli l'abbia voluto mettere assolutamente per fondamento, è da vedere che cosa intende Dante per allegoria, per anagogia, per moralità o senso morale. Noi troviamo che nel Convito egli definisce l'allegoria per un manto di belle menzogne sotto cui sta nascosta una verità, e che l'anagogia, cioè sovrassenso, è quando spiritualmente si spone una scrittura, la quale eziandio nel senso letterale per le cose significate significa delle superne cose dell'eternale gloria. Teniamo ben distinte queste due figure, quando veramente siano comprese nella Divina Commedia; mentre l'una dà un senso spirituale, e l'altra potrebbe dare un fatto storico-morale, che sarebbe sempre una verità; epperò coll'anagogia volersi una cosa, e coll'allegoria un'altra. Per ragione della quale distinzione nell'opera di Dante, che non è un salmo, ma un poema pieno d'azione o di episodii, si dovrebbe ben porre attenzione per differenziare nella scrittura ciò che è menzogna, che forma l'allegoria, da ciò che è spiritualità che forma l'anagogia: altrimenti non facendosi questo sarebbe voler confondere le materie dei due sensi e verrebbe ad essere menzogna tanto lo smarrimento di Dante per la selva e la sua andata per l'inferno, quanto il crucio che nell'inferno hanno l'anime dannate; tanto l'esistenza del vecchio nell'isola di Creta, quanto quella di Dio nel Paradiso, e così via discorrendo.
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