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      Imperò il Poeta li chiama sciagurati che mai non fur vivi indegni che di loro si tenga parola. Ammettendosi questa interpretazione mi si potrà concedere di applicarla al caso di quella morte che è detta nel verso citato, dove si accomoda così bene che bisognerebbe escludere qualunque altro senso che ivi si volesse dare, quando non fossero tutti esclusi già per se stessi.
      E giacchè siamo sul proposito, come se non avessi ardito abbastanza, nel mio modo d'interpretare vorrei spingermi ancora un poco più in là, e vorrei inferire da ciò che ho discorso, che Dante usando nel suo Poema vita e morte, morti e vivi, nel più de' casi adopera queste voci nel significato di fama o gloria, d'infamia o disonore: e d'infami o disonorati, di gloriosi o famosi. I lettori di Dante potranno osservare la convenienza di tale mio asserto, secondo il quale mi piace di qui dare la dichiarazione di due altri passi della Divina Commedia. Il primo è al verso 117 del Canto I° dell'Inferno,
     
      «Che la seconda morte ciascun grida».
     
      Qui affermerei che Dante ha voluto dire che ciascuno dei dannati intesi da lui, è reso chiaro dalla propria infamia, perchè il nome che s'acquistano costoro per mezzo del suo Poema proviene dal farsi nota quella colpa per cui furono puniti da Dio. E il gridare sarebbe stato usato in quel medesimo senso in cui Dante stesso l'usò al Canto VIII del Purgatorio, dicendo:
     
      v. 125 «La fama che la vostra casa onoraGrida i Signori e grida la contrada».
     
      Il secondo luogo è quando Caronte al terzo Canto dell'Inferno disse a Dante:


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La religione e la politica di Dante Alighieri
di Paolo Ferroni
Utet Torino
1861 pagine 85

   





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