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      I genitori della Vera Figner supplicarono più volte il governo russo di averla vicina a loro per poterle prodigare più spesso le cure necessarie alla sua salute malandata, ma esso invece, con raffinata crudeltà volle infierire ancora di più sulla sua preda, confinandola in un remoto villaggio del governo di Archangel nella regione artica.
      Durante la sua lunga e tragica prigionia, nella solitudine della cella appena rischiarata da un debole spiraglio di luce, Vera Figner compose poesie e poemi, unico conforto di un'anima lacerata dal dolore e dalle sofferenze. I suoi lavori furono pubblicati su riviste e giornali letterari ed ultimamente la casa editrice «La Liberazione» di Pietroburgo ha raccolto in volume i poemi composti nei momenti di più nero sconforto.
      Sono accenti patetici, sono visioni di libertà, sono la analisi sincera e profonda di un'anima agonizzante in un fondo di prigione, lontana da tutti e pur palpitante pei mali dei suoi fratelli. I tre poemi «I migliori sono caduti», «Mia Madre» e «Le rose di mia sorella» rappresentano tutta la tragedia di un'anima che non si esprime con viete formule d'arte, ma si confessa e si dipinge qual'è nel momento del più intenso sentire. I poemi della Vera Figner sono perciò opera d'arte pura e di alta poesia; alcuni di essi poi sono perfetti per fattezza e contenuto: tutti hanno un'armonia ed un «pathos» speciali, che valgono a porre la Vera Figner tra i veri poeti della sua patria derelitta.
      Oh! se la nostra lingua dolcissima e perfetta potesse avere tradotte da un nostro poeta di valore le «Elegie dello Schlusselhurg», di quale indicibile commozione le nostre anime palpiterebbero, leggendo le strofe dedicate alla madre lontana, quando prega i compagni di recare ad essa, «la più sublime» in nome di tutto ciò che àvvi di più sacro nella vita, il suo messaggio d'amore e il suo sorriso.


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Le carceri russe
di Vera Figner
Cromo-Tipo La Sociale
1912 pagine 65

   





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