So che il male di quella chiusa non è male da biacca, e che bisognerebbe fare un piedistallo nuovo a questa statua. Tuttavolta non potendosi così di leggieri tor via tutto il male, ho procurato almeno di scemarlo con levar quella parentesi che serviva d'inciampo al lettore.
E se pur mi vuoi morto, e invan si chiede
Ragione a te contro te stessa, e dei
Negar giustizia e non donar mercede,
Concedi almen, sebben nemica sei,
Quel che a un nemico ancor l'altro concede,
E piangi meco i tanti strazii miei.
Nell'ultimo sonetto ho mutato il secondo verso del primo terzetto
Ambo dunque piangemmo e ad ambo insiemeDiè sventura diversa ugual dolore.
Compatitemi e correggetemi, e vi riverisco devotamente.
LETTERA VII.
Villa, 26 Settembre 1694.
Al medesimo.
Non ponevo punto in dubbio la disapprovazione della chiusa, e già me la sentiva scorrere giù per le reni. E perchè un male così fatto non vuole impiastri, ma ferro e fuoco, m'è bisognato venire al taglio e abiurare il Tansillismo nel modo che vedrete. Non so poi, se il rimedio sarà peggiore del male. Ho preteso di riconvenir la fortuna con farle vedere e toccar con mano, che con tante sue stranezze, ha ben ella potuto far conoscere la sua ingiustizia, ma non le è riuscito di farmi misero. Non so poi quello che vi parrà del pensiero e dell'espressione, la quale, in un panno così stretto, mi ha forzato a ricorrere ai laconismi. Vi ringrazio infinitamente delle correzioni fatte al sonetto: Piangesti Roma, e toltane l'ultima, le accetto tutte. Solo mi dà qualche fastidio la voce intrise, la quale mi fa, e mi ha sempre fatto, una bruttissima specie.
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Settembre Tansillismo Piangesti Roma
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