In oltre affin'ch'io possa regolar meglio l'istanza e scoprir paese, si esebì di parlare al Gran Duca preventivamente e specificare i motivi della domanda, usando in una causa non sua, quella libertà che non è lecita a me di usar nella propria.
Ma ne attende l'approvazione da me, e vuoi ch'io ci pensi. Io quanto a me son pronto a dargliela, mentre ci concorra il vostro consenso, parendomi che il fare altrimenti, non sia conveniente, nè utile. Ditemene il vostro giudizio, e poi lasciamo armeggiare a lui. Mi sono espresso ancora che più mi attaglierebbe una piccola cosa in Firenze, che una grande di fuori, e in questo pure ho incontrato il suo genio, ed egli non lascerà d'accennarlo. Ho mutato l'ultima strofa della canzone del Gori; sentite come:
. . . . . . . . te roganteSole ille vultum splendidior suum
Fortasse promet me super.
Così mi par ch'abbiano il loro, il salmo e la poesia, rimanendo all'uno il sentimento, all'altra parole più confacenti. Servitore devotissimo.
LETTERA XIII.
Sabato, ore 23... 1695.
Al medesimo.
Eccovi tre belle mie più moderne frottole posteriori al mio male, in molte delle quali pretendo di lasciare agli amici più cari e più stimati qualche memoria di me. Voi che siete il più caro e il più stimato di tutti, pigliatevi la vostra, correggetela, e compatitemi. — Al Contino mandai la sua per la via di Loreto, e quanto a quella del Gori, desidero che la leggiate, e facciate conto che sia scritta a voi anche questa, nella quale avete un massimo interesse, trattandosi dell'interesse d'un vostro servitore bisognosissimo di consiglio e di direzione.
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