Io, se Braccio mio figliuolo, che da 15 giorni 'n quà si trova in letto con febbre continua, piglierà tutt'oggi qualche miglioramento, andrò domattina in Villa per la Sig.ra Anna, mia moglie. E però vi supplico di mandare qui la risposta sotto coperta al Sig.r Av.to Gori, al quale ho già detto, anzi dirò, quanto occorre. Servitore devotissimo.
LETTERA XX.
Volterra, 26 Marzo 1696.
Al medesimo.
Mi risento una volta, e per non venirvi davanti colle mani in mano, vi mando la qui aggiunta ode per il Sig.r Paolo Falconieri. Non troverete nella copia la perfezione dell'originale, ma è gloria di questo che quella non la somigli. Ditemene il vostro parere, e rimandatemela. Intanto vi dico che il pizzicore di anno passato dura tuttavia. E sono le mie figliuole venti più di quelle di Danao. Ma quelle ammazzarono i mariti, e queste ammazzeranno il padre. Son vostro servitore, e credetemelo. Addio.
LETTERA XXI.
Volterra, 25 Novembre 1696.
Al medesimo.
Ho letto i versi, e non voglio stare a dirvi, se mi piacciono o no, vedendo che me li avete mandati, non perchè io li lodi, ma perchè li traduca. Bisogna nondimeno ch'io li lodi, perchè lo meritano. Ma quell'avere a tradurli (cosa che non ho mai voluto far de' miei giorni) mi fa rincerconire il sangue solo in pensandovi. — Primieramente mi trovo capo pieno zeppo d'idee latine, durando ancora in me quell'estro medesimo, che cominciò sul finire del mio male. In oltre non posso dirvi l'antipatia che passa tra la traduzione e me, parendomi che mettersi a lavorare su quello d'altri, sia cosa da uomo che non abbia nulla del proprio.
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