Se non che la fortuna, la quale doveva continuar ad arridere a Napoleone per lungo tempo ancora, volle che Wurmser, per la comodità della marcia e delle vettovaglie, dividesse il suo esercito in due parti; la più piccola, sotto Quosnadovich, scendeva per la riva destra del lago di Garda, mentre la divisione maggiore, sotto il diretto comando del Maresciallo, veniva giù fra la sinistra del lago e l'Adige. Se Bonaparte s'indugia, e lascia operare la congiunzione delle due divisioni alla punta inferiore del lago, egli è perduto. Fa d'uopo correr prima con tutto il suo esercito a battere una delle due divisioni austriache, poi voltarsi contro l'altra. Ma per far ciò, bisogna rinunziare, per ora, alla presa di Mantova, ed abbandonare le grosse artiglierie di posizione e gli altri materiali dell'assedio. Qui, dice Thiers, si rivelò non solo il gran capitano, ma il grand'uomo. Spesso ci troviamo nel bivio di dover rinunziare ad una fra due cose buone e desiderate, ma inconciliabili; l'uomo ordinario tentenna; vorrebbe serbarle entrambe, e perde l'una e l'altra. Non così fece Napoleone.
D'ordine suo il general Serrurier, il quale comandava il corpo d'assedio, inchioda i cannoni, brucia gli affusti, e raggiugne co' suoi uomini il generale in capo. Erano già attorno a lui Berthier, capo di stato maggiore, e gli altri generali subalterni, specialmente quei due fulmini di guerra, come Carlo Botta li chiama, Augerau e Massena, ed i prodi loro soldati. Con queste forze, Bonaparte si slancia prima contro Quosnadovich e lo disfà a Lonato; indi si volge contro Wurmser, lo vince a Castiglione il 29 giugno 1796, a Roveredo il 4 settembre, e lo riduce a chiudersi in Mantova.
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