A grado a grado il disordine si propagò, e la maggior parte dei soldati piemontesi si ritrassero entro Novara. Affamati, pel solito errore o delitto di tardiva distribuzione dei viveri, invece di prepararsi alla difesa della città si diedero a saccheggiar le case. Tale si fu il turpe e luttuoso esito della battaglia di Novara. Carlo Alberto aveva cercato invano la morte nella mischia. L'indomani, 24 marzo 1849, egli abdicò in favore di suo figlio Vittorio Emanuele, e recossi, col cuore affranto, a finire i suoi giorni ad Oporto in Portogallo. A Czarnowsky furono fatti dei semplici rimproveri, in luogo della punizione che meritava. Ramorino ebbe un processo che lo condusse alla fucilazione.
Brescia, una delle più illustri città italiane per patriotismo nazionale, insorse, e sostenne per cinque giorni il bombardamento; ma infine fa costretta a piegar di nuovo il collo all'odiato giogo straniero. La notizia di tutte queste sventure sparse la costernazione per tutta l'Italia, ed anche in seno all'Assemblea Romana. In una seduta secreta si presentarono a noi il Castellani, legato della Repubblica di Venezia, e Lorenzo Valerio mandato dal Parlamento subalpino. Il Valerio raccontò piangendo il disastro di Novara, ma ne dipinse meno gravi del vero le conseguenze militari. Tanto egli quanto l'inviato Veneto, domandarono all'Assemblea Romana alleanza ed ajuto.
L'Assemblea non diede risposta sfavorevole; se non che la nostra piccola Repubblica, con tre soli milioni d'abitanti, era ornai costretta a pensare alla sua propria difesa.
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