Nell'aprile del 1849, una sessantina in circa di poveri ragazzi bolognesi, volendo emulare e superare i lor coetanei del battaglione della Speranza, si misero in capo di venir a combattere per l'Italia sotto Garibaldi, e lo raggiunsero a Rieti, pochi giorni prima del 30 aprile. Erano laceri anzichenò nel vestito e nella calzatura, e non so se mangiassero per istrada limosinando, o con qualche poco di cibo o di denaro rubacchiato in casa. Presentaronsi al comitato di arruolamento in Rieti, e furono respinti per la lor tenera età. Andarono da Pietro Ripari, medico della colonna Garibaldi, e gli domandarono gravemente di essere ingaggiati. Era tutta gente di dodici in quattordici anni incirca. Ripari, malgrado la sua burbera bontà d'animo, li accolse colle risa; ma essi opposero al riso il pianto, e se ne richiamarono a Garibaldi. Il generale ordinò che fossero ricevuti. Diede quell'ordine per sentimento di umanità, ed anche qualche poco per la sua fede istintiva nei misteri dell'avvenire. Pochi giorni appresso, quei poveri fanciulli dovevano salvargli la vita.
Furono armati di picche, abbigliati di camiciuole operaje, o blouses, e dati ad istruire ad un uomo, il quale per verità non meritava quella carica, più importante che non si credeva. Arrivati col resto della colonna Garibaldi a Roma il 27 aprile, quasi alla vigilia del primo attacco dei francesi, i biricchinelli bolognesi non furori reputati abbastanza istruiti, e molto meno abbastanza adulti per esporli al fuoco nel giorno 30. Pur nondimeno, nei susseguenti giorni, resi più arditi, e non contentandosi più di aver le picche, domandarono dei fucili.
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