Se non che, noi pativam penuria di cannoni, e proporzionatamente più ancora di palle, onde gli artiglieri nostri, comandati dal bravo Calandrelli, erano spesso costretti a servirsi di quelle dei francesi cadute in città e raccolte, ancorchè per lo più malamente si attagliassero al calibro.
Tuttavia la difesa non languiva mai. Nè ultimi in essa erano i monelli Bolognesi che si illustrarono a Velletri. Un giorno Garibaldi li additò ad un forestiere che con lui visitava le nostre posizioni, e disse: ho là una compagnia di ragazzi che si battono meglio degli uomini. Furonvi pure diverse sortite, diurne e notturne, una anche colle camicie ad imitazione di quella dei Fiorentini nell'assedio del 1530, ma con frutto egualmente piccolo. Meritò special menzione il valore e la nobile morte d'un giovine tenente che fu mio amico, in una delle sortite diurne. I sortiti osarono di andar ad attaccare di fronte colla bajonetta una delle trincee nemiche. Camminava davanti agli altri il tenente Giovanni Giordani. Colpito in una gamba cadde. Rialzatosi sopra un ginocchio, brandiva in alto la sua spada, e gridava ai suoi: avanti, avanti sempre: ma un'altra palla troncò a quel prode le parole e la vita. I francesi ebbero il barbaro gusto di caricare colla sua rossa tunica, come stoppaccio, un obizzo, e di lanciarla dietro ai suoi compagni che rientravano in città.
Garibaldi era contento della difesa fatta dai soldati regolarmente arruolati, ed ancora della cooperazione di Ciceruacchio, e di altri popolani di Roma.
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