Nel mattino del 21 giugno egli scriveva alla sua diletta moglie Annita, la quale era a Nizza presso la signora Rosa Raimondi Garibaldi madre di lui: «bacia la mamma, e dille ch'ella è fortunata di avermi partorito per un tempo in cui l'Italia ha tanti valorosi!»
Ma intanto le artiglierie francesi avevano terminato di aprire due grandi squarci, o breccie, una a destra e l'altra a sinistra di Porta San Pancrazio, per tener divise le nostre forze e la nostra attenzione, ignorando noi per quale delle due tenterebbero l'assalto. Lo tentarono e compierono di sorpresa nella notte fra quel giorno stesso ventuno ed il seguente ventidue, per la breccia a sinistra, fra le porte San Pancrazio e Portese. Salirono pel piano inclinato, formato dalla terra franata in giù al di fuori; ed avendo trucidati i pochi difensori trovati vigilanti in quel punto mentre gli altri dormivano, corsero ad impadronirsi d'un vicino casino, dentro alle mura, e vane furono le nostre prove di scacciarneli. Un drappello di Guardia Nazionale, comandato dal capitano Regnoli, deputato all'Assemblea Costituente, mantenne bravamente la sua esposta e pericolosa posizione presso Porta Portese, di fianco ai Francesi entrati per la breccia.
Continuammo tuttavia per nove giorni ancora a difenderci, sempre sotto l'ispirazione ed il comando di Garibaldi, entro le mura, e fuori ben anche. La battaglia finale, e la più sanguinosa di tutta quella campagna, fu data nel giorno 30 di giugno, sopra lo spazio ben largo, e più lungo ancora, fra le mura già occupate dai Francesi, e le case all'interno della città. L'esterna posizione del Vascello, difesa come dissi dai Lombardi sotto il comando di Medici, si sostenne sino a tutto il giorno 30, abbenchè le mura di quell'edificio, traforate dalle palle dei cannoni nemici, cadessero in pezzi.
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