Questo poteva, nella sua totalità, arrivare a Torino con un numero di marcie assai minore che la totalità dell'esercito francese. L'esito, fieramente contrastato, delle battaglie che avvennero in giugno, mostra che l'esercito austriaco era quasi eguale ai due eserciti francese e piemontese uniti; onde è chiaro che aveva una forza troppo superiore a quella del solo esercito piemontese, e che Torino, città aperta, poteva in aprile od in maggio cader nelle mani del nemico.
Sarebbe stato un disastro non irreparabile, ma pur grave per le sue conseguenze politiche. Che cosa far doveva Vittorio Emanuele? I consigli coraggiosi, ma non abbastanza assennati, di Lamarmora e degli altri generali piemontesi della vecchia scuola, ai quali dicesi che assentisse anche Canrobert, erano di difender la capitale dello Stato a qualunque costo. Credevano che la perdita, anche momentanea, di essa implicasse la perdita irremediabile dell'onore. Per altro, se quell'incauto parere avesse prevalso, ed il Giulay, capo dell'esercito austriaco, fosse stato un generale di ordinaria capacità e solerzia, sarebbe di leggieri avvenuto che, avanzandosi egli risolutamente, non solo sarebbesi impadronito di Torino, ma avrebbe schiacciato il troppo piccolo esercito piemontese dapprima, poi i primi rinforzi francesi a mano a mano che andavan giungendo, alla spicciolata, dal Cenisio, ed infine avrebbe passato il Po a sconfiggere gli altri Francesi che venivan per la via di Genova.
Vero è che la Francia era abbastanza forte per mandar alla riscossa un altro esercito non meno numeroso; non però egualmente forte di quello che conteneva il fiore de' suoi soldati; e forse il disastro che le toccò undici anni dopo, per fatto della Prussia, le sarebbe toccato per fatto dell'Austria nel 1859. Ove ciò fosse avvenuto, sentireste ora quali inni di gloria si inalzerebbero alla profonda politica del consiglio aulico, all'incomparabil valore de' soldati austriaci, ed alla sapienza strategica e tattica dei loro generali!
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