Le strade maestre erano aperte; e le piccole inondazioni che ebber luogo, in qua in là, per mezzo dei canali di irrigazione, numerosissimi in quella provincia, venner meno in breve, per minacciosa intimazione fatta agli abitanti. Giulay si trattenne veramente dall'inoltrarsi di più nell'interno del Piemonte, o per discutibili considerazioni strategiche, o per la propria irresolutezza. Forse è giusto, sotto il punto di vista militare, il rimprovero mossogli dallo storico tedesco Rustow di aver fatto un bel nulla, dal 29 aprile, giorno in cui passò il Ticino, sino al 20 maggio, giorno della battaglia di Montebello.
Probabilmente però alla sua inazione contribuì il timore di vedersi tagliata la ritirata od inquietate le comunicazioni da un'insurrezione popolare alle sue spalle, e dalle ardite e rapide mosse di Garibaldi contro l'estrema destra austriaca. All'ardimento unendo la prudenza, il gran capitano delle milizie popolari descrisse attorno al centro dell'esercito nemico una grande curva, radendo il piede delle Alpi, teatro di guerra a lui più acconcio, e andò ad eseguire dei brillanti fatti d'armi a tergo del principale esercito nemico.
Intanto Napoleone ebbe agio di riunire attorno a sè tutti quattro i grandi corpi del suo esercito, e di stabilire il proprio quartier generale ad Alessandria, vicino al suo alleato e protetto. Dal canto suo Giulay, riscuotendosi alla fine, ordinò a Stadion di passar il Po con un ponte di barche, ed andar ad eseguire una forte ricognizione al fianco degli alleati.
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