Evidentemente il ministro italiano non potè trarre alla sua opinione il monarca francese: imperocchè, essendo il Cavour risalito al suo uffizio, quest'uomo solitamente così dignitoso e padrone di sè, mosso allora da un impeto di irrefrenabile ira ribaltò scrittoi e tavole, e dato di piglio alle sedie le ridusse in pezzi una ad una, percuotendole sulle altre suppellettili rovesciate; indi mandò al re la sua rinunzia. Centinaja di altri italiani, anche di indole e di opinioni ordinariamente moderate, erano cosiffattamente inacerbiti contro Luigi Napoleone, che lo chiamavano apertamente traditore, e desideravano che un nuovo Felice Orsini avesse una mano più sicura del primo.
Gioachino Pepoli esternò rispettosamente all'imperatore suo cugino la propria meraviglia ed il proprio cordoglio per la tregua di Villafranca. Napoleone III, battendolo famigliarmente sulla spalla, gli disse: l'armistizio di Villafranca, mio caro, è un capolavoro. Pepoli non osò dirgli che era un capolavoro di assurdità! Pur nondimeno i patti di Villafranca e di Zurigo, così stupidi ed iniqui in apparenza, in realtà non erano punto un tradimento contro l'Italia, come ne avevano ogni sembianza. Quello strano ma scaltro uomo di Napoleone III vi inserì un articolo, il quale pareva nulla, ed era tutto: non intervento!
Fu primiero il duchino di Modena a ripetere il suo ducato, mandando innanzi il battaglione Estense, ch'egli aveva portato con sè a Mantova nel fuggirsi da Modena dopo la battaglia di Magenta. Luigi Farini, allora dittatore di Modena, ed i Modenesi, fecero il loro dovere; ed il battaglione Estense dovè tornarsene indietro, come volgarmente si dice, colle pive nel sacco.
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