Garibaldi avanzavasi, di passo e colla spada nel fodero, verso il palazzo reale. Ma questo era custodito da numerosa truppa, la quale stava schierata in fronte al palazzo stesso, ed armata di fucili e cannoni carichi. Gli stessi amici dell'eroe popolare non eran liberi da ogni trepidazione. La moltitudine che lo accompagnava descrisse una grande curva nella piazza ora detta del Plebiscito per allontanarsi dal pericolo. Garibaldi, imperterrito e tranquillo, continuava ad andar dritto verso la sua meta. Che cosa sarebbe stato se i soldati borbonici sparavano contro di lui? Non ispararono, ma gli presentaron le armi. In quel momento Garibaldi conquistò un regno.
Le imaginose popolazioni delle provincie meridionali dissero e credettero che i forti del Carmine e di Castel dell'Uovo avevano sparato le loro artiglierie contro Garibaldi, ma che le palle eran cadute a terra, strisciando giù innocue dalla camicia rossa. La forma della leggenda, come al solito, era assurda, ma vera la sostanza. La fortuna di Garibaldi, senza esser miracolosa, fu francamente maravigliosa.
La fiera lotta però non era ancora finita. Nei primi due giorni di ottobre, Garibaldi ebbe a sostenere una battaglia più fiera delle precedenti, sulle rive del Volturno, non lungi da Capua. L'esercito napoletano, questa volta, era comandato dal re Francesco II in persona. Nella sera del primo giorno l'esito era indeciso. I garibaldini ed i borbonici avean mantenuto le loro rispettive posizioni sul campo; se non che si trovò che le munizioni da bocca e da fuoco, dei volontari, erano esauste.
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