Si telegrafò a Napoli per averne. Cosenz, ministro della guerra per Garibaldi dittatore, rispondeva, costernato, che non ne aveva. I Borbonici, dal lato loro, erano di tutto punto forniti dalla vicina fortezza di Capua, ed in numero doppio dei garibaldini. Accortisi della propria superiorità numerica, e della mancanza di polveri presso i garibaldini, dal languore del fuoco di questi alla fine di quella giornata, i borbonici cominciavano già le mosse per circondarli, colla speranza di prenderli tutti prigionieri.
Tutto sembrava perduto pei seguaci di Garibaldi. Rimaneva nondimeno aperta la via di Napoli, ma nessuno pensò ad una ritirata. Il dittatore spiccò un treno apposta, e spedì a Napoli Gusmaroli, un ex-prete veneto, con ordini perentorii di far saltar fuori le munizioni. Il bravo ex-prete, appena giunto a Napoli, salì a Castel dell'Uovo, prese le munizioni, e fattele portar giù alla stazione, ne caricò il treno col quale era venuto. Appena le cartuccie e le vettovaglie furon giunte al campo, se ne fece ai soldati la distribuzione, benchè fosse notte.
Nel mattino del giorno due ricominciò sopra tutta la linea il crepitare dei fucili ed il solenne rombo del cannone. Il generale Garibaldi correva, instancabile, di posto in posto, per osservare, per dar gli ordini opportuni, per elettrizzare i soldati colla sua presenza e colla simpatica voce. Solamente non visitò l'importante posizione di Ponte della Valle, perchè ivi egli aveva messo Nino Bixio, il più valoroso de' suoi generali subalterni, e sapeva che Bixio ivi bastava.
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