Garibaldi fece nel 1862, per la liberazione di Roma dal dispotismo clericale, un tentativo simile a quello che aveva fatto nel 1860, per la liberazione di Napoli dal dispotismo borbonico; ma più audace e non destinato come quello al riuscimento. Radunato un gran numero di volontari a Catania, una delle tre più grandi città della Sicilia, da Catania andò a sbarcare a Melito, estremo punto meridionale della Calabria e di tutto il piede dell'Italia peninsulare. Di là, incominciando la sua marcia pedestre verso Roma, si recò, in due o tre tappe ad una altura che porta il nome di Aspromonte, troppo facile a ricordarsi, in relazione al lamentevole fatto che ivi successe.
Siccome Roma era presidiata dai Francesi, l'assalir Roma allora, ci avrebbe involti in una guerra certamente odiosa, probabilmente per noi disastrosa, colla Francia. Garibaldi, avvezzo ai miracoli del destino, ne sperava un altro, il quale prevenisse la guerra contro la Francia, o ne rendesse l'esito a noi propizio; ma il governo italiano ritenne che fosse una dolorosa necessità di impedire l'avanzarsi di Garibaldi. Nel giorno 29 di agosto 1862, mille ed ottocento bersaglieri attaccarono le truppe di Garibaldi ad Aspromonte. Garibaldi proibì ai suoi di rispondere al fuoco col fuoco, ma fu egli stesso seriamente ferito in un piede e fatto prigioniero.
Non per questo rinunciarono gl'Italiani alla volontà di aver Roma per loro capitale. E poichè il principale od unico ostacolo serio, era la presenza dei soldati francesi in Roma, il governo italiano stipulò col governo francese il trattato del 15 settembre 1864. Uno dei tre principali articoli era certamente indecoroso, e pareva fatale alle aspirazioni italiane, ed era quello che obbligava il governo italiano a non assalire colle armi, nè permettere che da altri si assalisse il territorio pontificio.
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