Il quadrilatero rimasto alla sinistra e indietro, come un vano spauracchio, sarebbe caduto da sè, come poi realmente cadde, al conchiudersi della pace. Per farlo divenire non vanamente formidabile, il nostro infelice Stato Maggiore andò a cozzare il capo contro di esso con una porzione insufficiente, ed inoltre mal adoperata, delle grandi forze che teneva nelle inette sue mani.
Al principio della campagna del 1866 le truppe Italiane erano disposte nel seguente modo: il corpo d'armata di Lamarmora, effettivo comandante in capo, benchè il comando nominale appartenesse al re, era a Parma, a Piacenza, a Lodi ed a Cremona. Il corpo di Cialdini a Bologna ed a Ferrara: ventiduemila volontarii attorno Como, presso l'estremità settentrionale della penisola, o, diremo, nel ginocchio dell'imaginario stivale a cui si paragona la forma dell'Italia; altri ventiduemila attorno a Bari, all'estremità meridionale, ossia nel tallone; e la flotta a Taranto, cioè più lontana ancora dal futuro teatro della guerra. Distanza fra i due estremi dell'esercito italiano, da Como sino a Gioja del Colle nella Terra di Bari, 860, dico ottocentosessanta chilometri!
L'Austria teneva concentrata, fra Padova, Vicenza e Verona, la massima parte del suo corpo di operazione, comandato dall'arciduca Alberto, con una distanza di sessantasette chilometri fra le due estremità, ma pronta a concentrarsi di più, appena vedrebbe qual indirizzo prendessero i nostri. La parte più debole della fronte Austriaca era da Mantova a Venezia: quella che i nostri generali avrebbero dovuto sfondare per andare al loro essenziale obbiettivo, che era Venezia.
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