Questi non aveva accettato di sedere a cena per desiderio di cibo, ma per curiosità dell'uomo singolare che ne lo richiedeva.
Il signor segretario mostrava di essere sui cinquant'anni. Due occhietti azzurrognoli gli fiammeggiavano nel viso rugoso e giallastro fra due liste di capelli non più fulvi e non ancora grigi. Portava la barba intiera che gli durava infuocata. Il pelo e il viso, la rigida rapidità degli atti, certe consonanti petrificate e certe vocali profonde che gli uscivano di bocca come d'un burrone, lo scoprivano tosto per tedesco. Anche il taglio antiquato e la nitidezza dell'abito nero, i solini inflessibili, il candido sparato della camicia erano da tedesco e da gentiluomo. Se non che, strana cosa, a' polsi il gentiluomo finiva. Le mani erano grandi, fosche sparse di cicatrici, con la pelle avvizzita e screpolata sul dosso, callosa nel palmo. Vi erano incise lunghe ore di sole, di gelo, di lavoro faticoso. Aveano perduta ogni pieghevolezza; non sapevano più esprimere il pensiero come lo esprime la mano intelligente dell'uomo colto. Parlavano in vece loro, con brusca energia, con passione, le braccia e le spalle mobilissime. Parlava, sopra tutto, il viso.
Era un viso brutto e gaio, ridicolo e geniale, sfavillante di vita: un labirinto di rughe sottili che si contraevano, si spianavano intorno a due occhietti chiari, ora aperti e gravi, ora stretti, per ilarità o per collera o per dolore, in due scintille, sempre vivacissimi. Subiti rossori, soffi di sangue gli salivano dal collo, si spandevano, sfumavano per la fronte lasciando il giallore di prima intorno al naso, sempre porporino e lucente.
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Malombra
di Antonio Fogazzaro
pagine 519 |
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