Lasciò cadere ad una ad una quasi tutte le numerosissime corrispondenze. Il conte non ebbe più ad aggrottar le ciglia sulla pioggia di lettere cifrate, stemmate e profumate che il Rico portava dalla Posta nei primi tempi. Le parole pungenti sfuggitegli qualche volta all'indirizzo di queste amiche, di queste complici delle follie passate, per poco non avevano scompigliato i disegni di Marina, cui facevano groppo alla gola, in quei momenti, risposte sdegnose da soffiar via d'un colpo il lavoro paziente di mesi. I suoi cari libri francesi, romanzi e poesie, non uscirono dalla loro stanza che di soppiatto o quando il conte non avrebbe potuto vederli. Egli era un fiero dispregiatore d'ogni cosa francese, salvo che del vino di Borgogna e di Bordeaux. Alto repubblicano, soleva dire che i Francesi fanno all'amore con le idee belle e grandi, le guastano senza rispetto come fantesche, e finalmente le piantano malconce e svergognate per modo che gli altri perdono la voglia di toccarle. Li detestava come inventori della formola: liberté, egalité, fraternité, dove il secondo termine, diceva lui, si caccia dietro al primo per ammazzarlo a tradimento. E poiché nel disprezzo come nell'ammirazione non aveva misura, diceva che tutti gli scrittori francesi insieme non valevano la nota del bucato di Giovanna; che Voltaire, per esempio, era uno smisurato buffone; che lo scriba Thiers con la sua strategia era un ridicolo retore Formione e sarebbe insultato da Bonaparte, se tornasse al mondo, come colui lo fu da Annibale.
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Malombra
di Antonio Fogazzaro
pagine 519 |
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