In questo argomento dell'arte il conte si mostrava assai mansueto; neppure le contraddizioni vivaci lo irritavano; anzi gli avveniva spesso di guardar Marina con dolcezza mentr'ella combatteva focosamente pe' suoi pittori prediletti; il vecchio si ricordava allora della propria madre e taceva.
Malgrado il favore che veniva acquistando presso lo zio, Marina provava un'avversione sempre crescente per quest'uomo austero, sprezzatore delle lettere, delle arti, d'ogni eleganza, che le infliggeva la vergogna di nascondere, almeno in parte, l'animo suo. Ella non era nata ipocrita e fu mille volte per prorompere e dire al conte che non lo poteva soffrire, che non intendeva dovergli gratitudine alcuna, né rispetto, né ubbidienza. Ma non lo fece. Dopo quest'impeti frenati a fatica, pigliava Saetta e partiva, ora sola, ora col Rico, si gettava a qualche riva solitaria e saliva rapidamente la montagna con un vigore cui nessuno avrebbe attribuito alla sua graziosa persona. I contadini che la incontravano ne stupivano. Gli uomini e le ragazze la salutavano, le donne no. Dicevano tra loro che colei andava sempre per demoni di boschi e di sassi, e a messa non ci aveva mai portati i piedi: ch'era un'altra scomunicata come la Matta del Palazzo, quella di una volta.
Quando era giunta a chetare i nervi con la stanchezza, Marina ridiscendeva al lago, dove Saetta l'attendeva pazientemente, custodita spesso dal giubboncello e dalle scarpe del Rico: mentre questo operoso signore correva i dintorni a coglier frutta, o a disporre trappole per ghiri, archetti per gli uccelli, con una destrezza che tutti i monelli del paese gl'invidiavano.
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Malombra
di Antonio Fogazzaro
pagine 519 |
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