Ella proseguì a leggere e le bianche mani tremanti parvero pietrificate.
Giunta alle parole "m'inginocchierò immediatamente a ringraziar Dio" chiuse il manoscritto tenendovi dentro l'indice della mano destra e rimase immobile in piedi, con la testa china sul petto.
Riaperse il manoscritto, lo rilesse per la terza volta. Poi lo depose e prese la ciocca di capelli. Le sue mani si movevano lentamente, non avevano più nulla di nervoso. La fisonomia era marmorea; non v'erano scritte né incredulità, né fede, né pietà, né paura, né meraviglia.
Un passo pesante nel corridoio. Marina si trasformò. I suoi occhi scintillarono, il sangue le corse al viso, chiuse con impeto la ribalta dello stipo e si slanciò alla porta.
Era Fanny che aveva un passo da corazziere.
Vattenedisse Marina.
Ah, Signore, che furia, cos'è accaduto?
Nulla, non ho bisogno di te stasera, vattene a lettoripeté Marina più ricomposta nella voce e nel viso. Fanny se ne andò.
Marina stette in ascolto de' suoi passi finché la udì scendere le scale. Allora tornò allo stipo.
Esitò a riaprirlo, ne considerò i geroglifici, le figure enigmatiche d'avorio intarsiato nell'ebano, che avevano in quel momento per lei la espressione funebre di spettri saliti a galla in una nera corrente infernale. Si decise e riabbassò la ribalta.
Trasalì; lo stipo era stato chiuso in furia e lo specchietto era andato in pezzi secondo la volontà di Cecilia. Rilesse l'ultima pagina del manoscritto, si sciolse i capelli, ne tolse in mano una treccia e l'accostò alla ciocca di Cecilia; i vivi e i morti non si rassomigliavano affatto.
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Malombra
di Antonio Fogazzaro
pagine 519 |
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