Aveva portato con sé suo nipote avvocato per la parte legale dell'affare. Il commendatore politico e il commendatore letterato, vecchi amici del conte Cesare e dell'ingegnere, si erano accompagnati a questo per fare al Palazzo una visita promessa fino dal 1859.
Il pranzo fu eccellente e largamente inaffiato di spirito. I motti dell'onorevole deputato si urtavano con le freddure dell'uomo di lettere, con gli epigrammi incisivi dell'ingegnere professore. Il vocione del conte copriva spesso le altre voci, il tintinnìo delle posate e dei cristalli, il cozzo sguaiato dei piatti e tutto quanto. Il giovane avvocato taceva, mangiava poco, beveva acqua e guardava Marina. Steinegge e il dottore bisbigliavano insieme, scambiavano qualche rara parola con Silla. Questi, distratto, assorto in altri pensieri, tante volte non rispondeva loro nemmeno, o rispondeva a sproposito.
Marina pure era taciturna.
I due commendatori suoi vicini chiedevano aiuto alla Natura, all'Arte, al cielo e alla terra per farla parlare e non riuscivano a trarle di bocca che radi monosillabi. Però il suo viso, il suo sguardo, che non si rivolse mai a Silla, non esprimevano preoccupazione alcuna. Il commendator Vezza, che aveva la manìa di saper tutto, le domandò, per ultimo tentativo, se conoscesse un certo punto di ricamo di nuova introduzione, che a Milano tutte imparavano. Ella gli rispose con una sommessa esclamazione di meraviglia sdegnosa che turbò molto il dotto uomo e lo spinse a buttarsi subito fra i discorsi degli altri.
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Malombra
di Antonio Fogazzaro
pagine 519 |
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