Suo padre, un mastino, credo che la mordesse. Un bel giorno piegò il capo e prese un figuro, un austriacante marcio che fece denari con le imprese e poi se li mangiò tutti, andò via con i tedeschi nel 59 e dev'esser morto a Leibach, credo. La Mina e Cesare non si videro mai più, ma si scrissero sempre non d'amore, veh! neppur per sogno. Quello lì? Quello lì è un giansenista che non va a messa. Ella non gli scriveva che di suo figlio, lo consultava. È morta nel 58, e tutto questo io l'ho saputo dopo, da un'amica sua. Ora domando io se è chiaro. Domando io cos'ha da temere la marchesina di Malombra, che ragioni aveva..."
Sì, sì, sarà tutto vero, vuol dire che lei non sa le cose a questo modo. Ma poi, come mi parli di ragioni in una testolina così bella? Non vedi, perdio! che occhi? Lì dentro ci sono tutte le ragioni e tutte le follie. Averla per un'ora, una donna così bella e così insolente. Si deve impazzire di piacere.
Peuh!
disse il letterato "è troppo magra."
Ma l'onorevole deputato fece di questa censura una confutazione così scientifica che non può trovar posto in un lavoro d'arte.
8. Nella tempesta
Debbo accendere il lume, signor?
disse Steinegge a bassa voce.
Era notte fatta. Da un gran pezzo Steinegge e Silla stavano seduti nella stanza di quest'ultimo, uno in faccia all'altro, senza parlare. Pareva che vegliassero un morto.
Steinegge si alzò, accese in silenzio una candela e tornò a sedere.
Silla teneva le braccia incrociate, il capo chino sul petto, gli occhi a terra. Steinegge era inquieto, guardava Silla, guardava il lume, guardava il soffitto, metteva una gamba a cavalcioni dell'altra che poi pigliava bruscamente la rivincita.
| |
Malombra
di Antonio Fogazzaro
pagine 519 |
|
|
Leibach Mina Cesare Malombra Steinegge Steinegge Silla Silla
|