Presto bisognerà scendere, signordiss'egli. "Credo che il signor conte è ritornato da un pezzo."
Silla non rispose.
Steinegge aspettò un poco, poi si alzò, tolse il lume e si avviò adagio alla porta.
L'altro non si mosse.
Steinegge lo guardò, ritirò il collo tra le spalle con un ah di sommessione, depose il lume e venne a piantarsi davanti a Silla.
Sono un imbecille, signor, non so dir niente, ma sono amico. Vi giuro che se potessi rispondere io per lei, farvi sortire quel colpo di sciabola che dovete aver nel cuore, me lo piglierei volentieri pur di vedervi più contento.
Silla si alzò, gli gettò le braccia al collo.
Steinegge, rosso rosso, impacciato, andava dicendo:
Oh no... signor Silla... io ringrazio...
e si sciolse piano piano da quell'abbraccio. La sventura, la miseria, le amarezze d'ogni sorta lo avevano umiliato sino a renderlo schiavo della familiarità di coloro cui egli attribuiva una condizione sociale superiore alla sua.
Bisogna esser così un poco filosofidiss'egli. "Bisogna disprezzare questa persona. Credete che non ha offeso me otto e dieci e venti volte? Non ricordate stasera quando mi ha parlato, come a un servo? Io ho disprezzato sempre. Quella non ha cuore, né una briciola. Voi dite quella, voi italiani, una donna onesta, perché non fa questo che sapete. Voi dite donne vili le altre. Ma io dico: questa, questa" (Steinegge batteva rabbiosamente le sillabe) "questa è vile. Insulta me perché sono povero, insulta Voi per passione avara."
Per passione avara?
Sì, perché immagina che il signor conte vuol porre Voi nel testamento.
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Malombra
di Antonio Fogazzaro
pagine 519 |
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Silla Silla Steinegge
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