Mettiamo tutto in due parole: sono inetto a vivere, me ne convinco ogni giorno più. E ho una salute di ferro! Le dico queste cose perché L'amo, caro Steinegge, e voglio ch'Ella mi porti nel Suo cuore. Non le ho mai dette a nessuno. Dica, non Le pare una derisione? Benequi gli occhi di Silla sfavillarono e la sua voce diventò convulsa "non lo è. Io ho la forza in me di resistere a qualunque disinganno, a qualunque amarezza; e questa forza non me la sono procurata io. Ne userò, lotterò con la vita, con me stesso, con la sfiducia terribile che mi assale di quando in quando; e sono convinto che Dio si servirà di me per qualche..."
Si bussò all'uscio.
Il conte Cesare faceva dire a Silla ch'egli era con gli ospiti e lo pregava di scendere. Silla pregò Steinegge di andar lui in vece sua e di portare le sue scuse, allegando alcune lettere urgenti da scrivere.
Steinegge uscì tutto impensierito. Che intendeva mai fare il signor Silla?
La stessa questione si agitò lungamente nelle regioni inferiori del palazzo. Madamigella Fanny aveva informato per la prima i suoi colleghi della "gran lezione" data dalla sua signorina a quel "tulipano nero", il quale, agli occhi di Fanny, aveva il gran torto di non essersi mai avveduto che erano belli ed arditi. Il cuoco possedeva le informazioni della Giunta con parte della quale aveva bevuto un litro, dopo il fatto, dalla Cecchina gobba. Raccontò che in quel punto il signor Silla tremava tutto, era più bianco di un foglio di carta. "Chi sa, signor Paolo" gli disse Fanny "chi sa che faccia faranno adesso a trovarsi insieme quei due lì! Già la mia marchesina non ha paura di nessuno.
| |
Malombra
di Antonio Fogazzaro
pagine 519 |
|
|
Steinegge Silla Dio Cesare Silla Steinegge Silla Fanny Fanny Giunta Cecchina Silla Paolo Fanny
|