Il conte Cesare, arrabbiatissimo colla cugina, col cugino, con tutti i cugini screanzati dell'universo, trovò modo di tempestare col cuoco, fece disfare i letti apparecchiati, andò in bestia con Steinegge perché gli era venuto incontro e con Marina perché non era venuta. Durante le sue diatribe Saetta brillava al sole da lontano e non s'affrettava punto. Gli giovò di sfogarsi a questo modo. Mezz'ora dopo rianimò con una parola gentile lo sbalordito Steinegge e disdisse gli ordini dati ab irato a Giovanna. Con Marina le cose procedettero diversamente. Cinque giorni eran passati dopo la partenza improvvisa di Silla; il conte e sua nipote non avevano ancora scambiato parola. Egli era stato in procinto di partire per Milano; poi, mutato pensiero, forse per il prossimo arrivo dei Salvador, aveva scritto a Silla. Di questo arrivo s'era occupato moltissimo. Aveva persino fatto il miracolo di andare alla stazione. La Giovanna pensò che quei signori di Venezia dovevano essere qualche cosa più del re; e gli altri domestici dissero al giardiniere che poteva far a meno d'annaffiare, perché sarebbe infallibilmente piovuto prima di sera.
Marina, nei primi quattro giorni dopo la partenza di Silla non si lasciò vedere, neppure a pranzo. Fanny disse al conte che la sua marchesina aveva l'emicrania; agli altri disse che era una luna tremenda, che non ci capiva niente e che a momenti anche lei non ne poteva più.
Quel giorno Marina uscì con Saetta e comparve poi a pranzo mentre il conte e Steinegge parlavano dell'opera di Gneist sul Self-government, di cui Steinegge stava facendo un sunto.
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Malombra
di Antonio Fogazzaro
pagine 519 |
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