Marina non aveva ancora risposto, quando entrò la Giovanna, tutta commossa.
Signor padrone, quei signori sono qui!
Diavoloesclamò il conte alzandosi, e uscì in fretta.
Marina andò a gittarsi sul seggiolone rimasto vuoto, vi si dondolò con le braccia incrociate, il capo appoggiato alla spalliera, le gambe accavalciate e la punta brillante d'uno stivalettino nero slanciata in aria come una sfida.
Si udivano parecchie voci al piano terreno, o meglio una voce sola, a getto continuo, sonora, colorita, con accompagnamento di altre voci note e ignote, di risa brevi, rispettose.
Oh che viaggiodiceva quella voce "oh che paesi, oh che gente! Hai la mia borsa, Momolo? Vi racconterò, creature. Chi sei tu, bellezza? La sua cameriera? Brava, cara. E dov'è questo benedetto Cesare? Sta sulle tegole a quest'ora? Dimmi, tesoro, cos'hai nome? Fanny? Senti, Fanny, quel palo bianco là è un frate o un cuoco? Ma che ci prepari un brodo, benedetto da Dio. Nepo, sei languido, fio? Oh Dio, Cesare, che vecchio, che brutto!"
Con quest'ultime parole gridate nelle palme delle mani di cui s'era coperta il viso, la contessa Fosca Salvador salutò il conte Cesare che le veniva incontro frettoloso con una faccia che voleva e non poteva essere allegra. Peggio fu quando la contessa volle fargli un bacio e lo affogò in un diluvio di chiacchiere. Egli ne perdette quasi la testa. Continuava a rispondere sì sì sì col suo vocione più grosso, stringeva la mano a Nepo e stava per fare lo stesso col vecchio domestico della contessa, malgrado i suoi grandi inchini e il suo ripetere: "Eccellenza, Eccellenza".
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Malombra
di Antonio Fogazzaro
pagine 519 |
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