Marina, pallida, serrate le labbra, chiusa nello scialle bianco che le stringeva le spalle, pareva un'anima peccatrice, fuggita nello sdegno alle ombre dei fiumi infernali, mezz'irritata, mezzo stupefatta.
La "sala del trono" si spalancò a prora come una visione verde dorata con la sua gran cupola informe. il macigno nero nel mezzo, i tonanti fiotti di spuma e i bollimenti dell'acqua lungo le pareti gibbose; ma la barchetta, invece di entrarvi, scivolò a destra in un seno cieco di acqua tranquilla e si arenò. Una gigantesca cortina di pietra cadeva dall'alto a formar quella cala, schermandola in parte dal fragore dell'acqua. Colà, parlando forte, si poteva farsi intendere. Il barcaiolo domandò a Marina se l'Orrido le piacesse, e soggiunse, sorridendo con cert'aria di benigno compatimento, che piaceva a tutti i signori. Quanto a lui non ci trovava di buono che le trote. Diceva che in quel posto lì eran frequenti, e volle che Nepo e Marina si voltassero a guardar nell'acqua, promettendo ne avrebbero visto balenar qualcuna sul fondo.
Nepo, voltandosi, venne a sfiorar la guancia di Marina. "Non mi toccate" diss'ella duramente, senza guardarlo.
Egli attribuì quelle parole alla luce indiscreta e non se ne commosse che per dire con mal piglio al barcaiuolo:
Cosa ne facciamo delle tue trote, imbecille? Andiamo!
I suoi modi con gl'inferiori, da gentiluomo maleducato, gli avevano già procacciato uno schiaffo a Torino da un garzone di caffè e potevano procacciargli altrettanto e peggio da Caronte; ma costui non intese che l'ultima parola, e risospinta indietro la barca nella corrente, la fece entrare nella caverna grande, l'addossò al trono, dove l'acqua era più tranquilla, e ricominciò la sua mimica di cicerone muto.
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Malombra
di Antonio Fogazzaro
pagine 519 |
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