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      Accennò con la mano che si poteva salire sul macigno e uscir quindi per la spaccatura della rupe dall'Orrido. Marina si gettò addietro lo scialle, balzò in piedi sul sedile della barchetta, respinse l'aiuto dell'attonito barcaiuolo e, posando i piedi sopra i risalti del masso, in due slanci gli fu sopra. Di là accennò imperiosamente a Nepo di seguirla. Nepo, ritto in barca, andava tastando il sasso, titubava e guardava di sbieco Caronte. Questi lo levò di peso e l'appoggiò allo scoglio; come a forza di raspar con mani e piedi vi si fu appiccicato, lo urtò su, con la palme, alla cima.
      L'acqua, entrando furiosamente, piena di luce, per la fenditura della roccia, si frangeva, a tergo del trono, in due branche spumose che lo allacciavano. Dal trono si passava oltre, si usciva all'aperto per una assicella lunga e sottile gittata sopra i sassi sporgenti dell'acqua. Tenevano quella via i pescatori di trote.
      Marina, seguita da Nepo, si avviò per l'assicella dopo aver accennato al barcaiuolo che l'attendesse. All'uscita dell'Orrido si apriva una scena severa che sarebbe parsa selvaggia a chi non vi fosse salito dalle caverne inferiori. Il torrente saltava giù allo scoperto per immani scaglioni, brillando al sole come una rete di fila d'argento, a grandi maglie irregolari, piene di fragore, fra due scogliere protese in atto di chiudersi una sull'altra, mezzo ignude, mezzo cenciose nei loro brandelli di bosco. Marina salì presso alcuni tassi rachitici che uscivano a lambir con le loro frondi nere un pietrone ritto a fianco della bocca dell'Orrido, ove il terribile fragore era grandemente affiochito.


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Malombra
di Antonio Fogazzaro
pagine 519

   





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