V'era bene stata un'eclissi momentanea dopo la morte di suo padre ma più sul volto delle persone che su quello delle cose intorno a lei. Sapeva che nel mondo il denaro è un dio; è voluttuoso sprezzare un dio. Era voluttuoso per lei irritare con le sue freddezze di gran dama la borghesia opulenta, bene aristocratizzata nelle donne, male negli uomini. Pretendeva che a questa gente si vedesse negli occhi e sulla fronte il bagliore dell'oro, che la loro voce avesse un suono metallico, che lo strascico d'ogni signora borghese ripetesse una fila di cifre.
Schizzar su lei un getto d'oro non era beneficarla: altra gente si benefica così. Era piuttosto ferirla perché il denaro del conte Cesare doveva essere avvelenato d'inimicizia. Peggio ancora; intendeva egli forse saldare a quel modo la partita di tante prepotenze, di tante offese oblique e dirette? Certo lo intendeva. Come mai non l'aveva ella pensato prima?
Suonò il campanello, per Fanny. Fanny faceva dei risolini in quella sera, apriva ogni tanto la bocca come se volesse parlare e non osasse, attendesse un invito.
Sperodiss'ella finalmente sciogliendo una treccia della sua padrona "che se Lei avesse ad andar via di qua, non mi abbandonerebbe mica, non è vero?"
Fa prestorispose Marina.
Faccio presto, faccio presto. Come la mi piace mai quella signora contessa! Come la mi è cara!
E pigliò a sciogliere un'altra treccia.
È vero che a Venezia non ci sono carrozze? Sarà però sempre meglio di qua, dico io. Non è vero?
Marina non rispondeva.
Com'era contenta la signora contessa stasera!
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Malombra
di Antonio Fogazzaro
pagine 519 |
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Cesare Fanny Marina Venezia
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