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      Le sue lettere improntate di bontà e di arguzia erano scritte classicamente, in forma alquanto artificiosa, come usa l'uomo colto che ne scrive poche. Toccava stavolta di tristi casi avvenuti nella sua parrocchia, di grandi dolori sopportati con la umile pace cristiana. Parlava con riverenza di queste virtù dei suoi poveri contadini punto democratici; parlava della fede come un uomo che nella sua giovinezza ha combattuto per non smarrirla e, avendo pur vinto, guarda con grande indulgenza a chi ha lottato e perduto. Narrava che la neve, il gelo e le grandi piogge, avevano danneggiato il soffitto della sua chiesa e che, la domenica precedente, vi era venuto per caso a suonare l'organo un giovane maestro, il quale aveva magistralmente eseguita certa musica di un tedesco, di Bach, gli pareva. Al popolo la musica era piaciuta poco: ma lui n'era ancora imparadisato. Raccontava che i lavori della cartiera erano molto avanzati e che parecchi tegami e cocci preistorici, scoperti nello scavo delle fondamenta, fregiavano adesso il suo museo privato. Annunciava che le tepide coste de' suoi monti, le rive settentrionali del lago, erano in piena primavera e ne descriveva l'aspetto con studiata eleganza di stile. Chiudeva con un caldo invito agli Steinegge di venir a passare qualche giorno da lui presto, presto.
      Edith ripeté quasi alla lettera lo scritto del curato, omettendone solo una certa parte. Era strano udir parlar di lago, di montagne, di vita semplice, sul corso di Porta Venezia tra il doppio flutto della gente che calava ai bastioni, tra il fragor sordo delle ruote sulle trottatoie e il calpestìo vibrato dei cavalli di lusso, davanti alle cantonate bianche, rosse, gialle di affissi d'ogni genere.


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Malombra
di Antonio Fogazzaro
pagine 519

   





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