Verso l'alba si addormentò profondamente e non si svegliò che a giorno inoltrato. Una luce grigia entrava dalla finestra. Pioveva.
Silla si sentiva rotta la persona come se avesse fatto quella notte venti leghe a piedi per domare un'agitazione febbrile, cresciuta invece con la spossatezza del corpo. Gli venne l'idea di uscire per una lunga corsa sui bastioni ma poi non ne fece nulla. Rimase un pezzo seduto sul letto a guardar dalla finestra il cielo freddo, uggioso come di febbraio, i tetti lucidi, e contro le scure finestre opposte, i fili tremoli della piova che sussurravano sulle tegole come uno strascico di veli leggeri e schiamazzavano nel cortile sotto i canali.
Guardava, si può dire senza pensare o, almeno, pensando senza il governo della volontà, disordinatamente. Era la penombra di un sogno in cui le idee duravano a muoversi a caso come ospiti stupefatti di stanze signorili dove il padrone non compare. Egli sentiva però nel cuore qualche cosa che la sera precedente non c'era ancora, un misto di stanchezza e di eccitazione, una sorda sofferenza che si ravvivava quando negli occhi intenti alla piova gli entrava lo sguardo immaginato di Edith. Era un triste dubbio che gli faceva male. Le nuvole grigie lo sapevano, la piova lo diceva e lo ripeteva:
Piangi, piangi, non ti ama, non ti ama.
Egli durava fatica a difendersi dallo stolto sospetto che anche Edith avesse cangiato dalla sera precedente, come il cielo; che la notte, il sonno, altri pensieri avessero spenta la sua inclinazione nascente, se pure questa inclinazione non era un abbaglio visionario.
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Malombra
di Antonio Fogazzaro
pagine 519 |
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Edith Edith
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