Silla prese il biglietto che non aveva indirizzo. Non poteva venir a capo d'aprirlo, tanto le mani tremavano. Finalmente lo aperse e vi lesse. "Silenzio sul telegramma". Intanto il Rico mise un fischio acutissimo.
Perché, silenzio?
pensò Silla, "e come è possibile?"
Ripose il biglietto e chiese al ragazzo della malattia del conte. Il conte non si sentiva bene da qualche tempo. La mattina del giorno prima era stato trovato a terra, fra il suo letto e l'uscio, svenuto, con la fisionomia stravolta. Soccorso, si era un po' riavuto. Però la Giovanna diceva che non aveva più ricuperato la parola né l'intelligenza. Era una testimonianza gravissima che colpì Silla. Se il conte non parlava né intendeva, come spiegare il telegramma di Cecilia? Poteva esserci stato un lucido intervallo. Ma se il telegramma era menzognero, si spiegava bene il biglietto.
Chi c'è adesso nel Palazzo?
diss'egli.
C'è il signor sposo, la sua signora mamma, la signora Catte, un signore vecchio di Venezia, che è poi uno dei signori compari, e un altro signore che è stato qui ancora quando c'era Lei.
Finotti?
Signor no.
Ferrieri?
Signor no.
Vezza?
Vezza, signor sì, Vezza, che è poi l'altro compare.
Il cancello del giardino era aperto. Il Rico si cacciò fra gli abeti e scomparve. Silla discese verso la scalinata.
Ed ecco i cipressi, la voce quieta del fonte, ecco laggiù, tra il verde vigneto e il verde lago scintillante di sole, i tetti neri del palazzo. La voce uguale diceva nel gran silenzio del mezzogiorno: "Lo so, lo so, l'ho saputo sempre, egli è qui ancora, non v'è stupore per l'acqua indifferente che passa senza posa.
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Malombra
di Antonio Fogazzaro
pagine 519 |
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