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      La malattia fulminea lo aveva atterrato, spogliato in un secondo della sua forza imperiosa, della sua intelligenza rapida, della sua memoria tenace di tante cose, di tante persone: lo aveva risospinto dalla forte vecchiaia alla infanzia radendogli dalla mente tutto, fuor che le prime voci apprese ne' primi anni.
      La Giovanna gli diede da bere, poi tentò di richiamare la sua attenzione a Silla.
      Bastadisse la voce del medico nelle tenebre.
      La donna uscì con Silla, accorata. Incontrarono il frate nel corridoio.
      E così
      diss'egli. "Niente, eh? lo sapevo bene."
      E cosa ne dice?
      gemette la Giovanna.
      È presto, cara la mia tosa. Bisognerebbe sapere se avremo o no un secondo attacco. Certo occorre che il giuoco non si rinnovi, altrimenti me lo ammazzano di colpo. Ci hai detto nulla a questo giovinotto?
      Signor no.
      Bene, senti, Giovanninetta, vorrei che mi accompagnassi a veder la casa. Dopo mi farai preparare una sedia in loggia perché possa fumare un poco. Se non fumo, tra un quarto d'ora scoppio.
      Mentre Giovanna e il frate giravano per la casa, Silla, appoggiato alla balaustrata della loggia, guardava il lago verde dormente al sole. Eran proprio passati tanti mesi? Le montagne, la quiete profonda lo riprendevano come cosa loro; e gli pareva non essere mai andato via, aver sognato Milano, un lungo inverno, penosi pensieri. Ma dalle pietre, dalle vecchie pietre austere prorompeva subito il vero presente, lo sgomento che una malattia mortale diffonde intorno all'uomo colpito, sopra tutto la immagine di lei, che, tenendosi nell'ombra, empiva la casa di sé. Perché si nascondeva? gli pareva ad ogni momento udirne il passo, il fruscìo delle vesti, veder avanzarsi da quella parte quella sua bellezza altera e fantastica.


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Malombra
di Antonio Fogazzaro
pagine 519

   





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