Intendiamoci, amico vero; perché certi altri amici non li pareggerei davvero alle persone di famiglia."
Il commendator Vezza, felice nella sua curiosità, fece un cenno di gradimento.
Il frate entrò subito dopo gli altri nella camera della contessa e, toccandosi la calotta, sedette, senza aspettare invito, sopra un seggiolone a fianco del canapè dove la contessa Fosca, irrequieta, sgomentata, batteva nervosamente sulle ginocchia il suo gran ventaglio chiuso. L'avvocato Mirovich, imbarazzato, guardando ora il frate, ora il pavimento, cominciò a dire:
A spiegazione delle parole... delle parole... non chiare, ecco, delle parole non chiare che il padre ha pronunciato stamattina in presenza del conte, della contessa e... sì, infatti, di altre persone... egli desidera fare alcune comunicazioni, non é vero? alcune comunicazioni circa la malattia per la quale venne invitato a consulto.
Cioè
disse il frate "desidero! Niente affatto, desidero. È mio dovere. Io vado per le corte, signori, e chiamo le cose col loro nome. Il mio dovere è d'informare Loro signori, che, a mio avviso, il conte d'Ormengo è stato..." Prima ch'egli compiesse la frase la contessa Fosca lasciò cadere il ventaglio. Nepo si alzò in piedi. Gli altri due non si mossero.
Assassinatodisse lentamente il frate, dopo un istante di esitazione, levando gli occhi a Nepo con il pugno sinistro sopra una coscia e l'avambraccio destro attraversato all'altra.
Oh Dio, oh Dio, oh Dio!
gemé la contessa spalancando tanto d'occhi spaventati. Nepo alzò le braccia, mise un'esclamazione d'incredulità sdegnosa.
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Malombra
di Antonio Fogazzaro
pagine 519 |
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