.. si potranno ricuperare... e anche l'intelligenza... però, per l'intelligenza, è difficile, molto difficile."
Pareva pigliar involontariamente la intonazione dagli occhi di donna Marina.
Il commendatore Vezza li studiava da vicino quegli occhi, procurando di non farsi scorgere dai Salvador. Aveano un fuoco vago e febbrile, una espressione di curiosità intensa, qualche cosa di nuovo che colpì il commendatore.
Qualcuno entra; il signor parroco che viene a prender notizie. Il povero don Innocenzo, miope, imbarazzato, non riconosceva nessuno, salutava a sproposito, si scusava, suggeva l'aria con le labbra, serrate come se il pavimento gli scottasse. Intanto il dottore si congedò. V'era un ghiaccio nella stanza: nessuno parlava forte. Nepo, curvo sulla spalliera delle poltrona di Marina, le chiedeva sottovoce della sua salute, si doleva di non averla mai potuta veder in quei due giorni. La contessa Fosca dall'altra parte tentennava. Si piegava verso Marina, le sussurava una frase; si ritraeva per non porsi troppo avanti fra lei e Nepo; quindi cedette alla tentazione. Il parroco prendeva le notizie del conte dall'avvocato Mirovich, in disparte. Silla non s'era mosso mai. Marina nell'entrare lo aveva guardato un momento, lo aveva confitto, quasi impietrito al suo posto.
Ella si alzò.
Amerei dire una parola al signor Silla
disse.
Questi, pallidissimo, s'inchinò.
La contessa, Nepo, il Vezza, stupefatti, guardavano Marina, aspettando uno scoppio, una scena come quella dell'anno prima. L'avvocato interruppe la sua relazione; Don Innocenzo non capiva; gli diceva: "E dunque?
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Malombra
di Antonio Fogazzaro
pagine 519 |
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