La si leggeva perfino nella forma incomoda di certe suppellettili: perché se tutto là dentro diceva pace e quiete, né gli alti canapè stretti, né le seggiole impagliate a spalliera verticale permettevano la voluttà del riposo spensierato e delle immagini vagabonde. Dallo studio, zeppo di libri, usciva uno spirito di austerità pensosa; cosicché l'aspetto della casa rendeva immagine, in qualche modo, dell'aspetto di don Innocenzo, ilare, semplice, pieno di pensiero.
Questi era beato di aver seco gli Steinegge. Gli ravvivavano un po' la solitudine di cui soffriva, in fondo, nella sua ingenua ammirazione della società moderna, nella sua passione per conversare di politica, di letteratura, d'ogni novità curiosa. Di Steinegge s'era innamorato di slancio; per Edith sentiva, specialmente dopo l'ultima sua lettera, un alto rispetto, misto però di soggezione. La fiducia di uno spirito così nobile lo sgomentava, quasi. Temeva di non sapervi corrispondere, di non poter afferrare certe finezze femminili, di non intender bene certe squisitezze di sentimento in cui bisognava entrare per consigliar quell'anima, per esercitare l'ufficio religioso che gli veniva chiesto. Sentiva in pari tempo un vago sospetto che vi fosse nell'ascetismo di Edith qualche cosa di eccessivo e di tenace da doversi combattere. Era insomma il suo compito attraente ma grave, di quelli che lo trasformavano, che lo facevano pensar con calma, parlar con misura, operar con cautela.
Prima ancora che Edith e suo padre salissero alle loro stanze, il parroco volle condurli, malgrado le osservazioni di Marta, a veder i rosai, le fragole e i piselli dell'orto.
| |
Malombra
di Antonio Fogazzaro
pagine 519 |
|
|
Innocenzo Steinegge Steinegge Edith Edith Edith Marta
|