Fanny die' in uno strido, posò il lume a terra e fuggì.
Marina si fermò, si voltò a guardarla.
Stupida!
diss'ella. Poi sussurrò a Silla:
L'altra notte, andando da lui a vendicarmi, son caduta qui, a quest'ora stessa. Non te l'ho detto che l'ho ferito a morte?
E fe' un passo avanti. Ma in quel punto si sentì cinger la vita dalle mani poderose di Silla, riportar di peso sulla scala. Tacque un momento, sbalordita; quindi, ingannandosi sulle intenzioni di lui, gli disse sorridendo:
Dopo!
Egli non parlò.
Lasciami dunque!
Norispose Silla. Non era più la ebbra voce di prima; era la voce d'uno che vede subitamente qualche cosa orribile.
Come?
diss'ella.
Si contorse tutta, si divincolò, quale una serpe nell'artiglio dello sparviero. Si racchetò subito, cupa.
Ohe, quel lume! Chi ha lasciato lì quel lume?
disse Catte che veniva dal lato opposto alla camera del conte. Un'altra voce commossa ripeteva: "Gesummaria, Gesummaria!"
Fanny aveva posato il lume sul primo scalino. Catte e la contessa Fosca passarono, guardarono su per la scala, si fermarono. Allora Silla, quasi involontariamente, lasciò libera Marina, che saltò nel corridoio sugli occhi attoniti delle due donne e passò loro davanti, senza salutarle. La contessa Fosca tutta imbacuccata in un gran scialle nero, guardò Silla con un lampo, sul suo faccione volgare, di severa dignità; non disse motto e passò oltre. Silla discese nel corridoio, la vide entrare con Catte nella camera del conte. Non vide Marina, capì che doveva esservi già entrata, si batté rabbiosamente i pugni sulla fronte.
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Malombra
di Antonio Fogazzaro
pagine 519 |
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