Don Innocenzo proferiva ad alta voce le preghiere commendationis animae con Rituale alla mano, senza leggervi mai. Non mostrò avvedersi di Marina né di Silla. Non dipartiva lo sguardo da quella testa con la bocca aperta e gli occhi chiusi, coperta di ghiaccio, inclinata sull'omero sinistro, cadaverica. Parlava con accento di profonda pietà: quando disse "ignorantias eius, quaesumus, ne memineris, Domine", le parole suonarono più alte e commosse, parvero esprimere un'appassionata fede, che Dio accoglierebbe nella sua pace quello spirito, il quale, dopo aver operato il bene sulla terra senza pensare a Lui, Gli giungeva davanti come chi navigando diritto e fermo verso una mèta conosciuta, trovò invece gran terre nuove e gloria imperitura. In quella notte d'angoscia e di trepidi bisbigli, le sonore parole sacre volte con tanta fede a un Essere affermato presente e invisibile sopra l'uomo colpito da Lui, affermato padrone di chi Gli parlava e di tutti i circostanti credenti o no, empivano la camera di sgomento. Si sentivano due potenze sovrumane a fronte: una luminosa, eloquente, infocata di pietà, tenace, instancabile; l'altra buia, muta. E questo appariva grande, che la prima, disconosciuta dal giacente e in vita e in morte, offesane con parole d'indifferenza, fors'anche di spregio, veniva nell'ultima sua ora, non richiesta da lui, non potendone più attendere né bene né male, a coprirlo, a difenderlo, a parlare alto per esso in un giudizio terribile. Quando il prete sostava per qualche istante, s'udiva il moribondo ansar precipitosamente come se un leone gli si fosse accosciato su.
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Malombra
di Antonio Fogazzaro
pagine 519 |
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