La collera salì al viso di don Innocenzo.
Vado iodisse.
Avrebbe afferrato colui, lo avrebbe gittato alla porta se Giovanna, supplichevole, non lo avesse trattenuto.
Lasci starediss'ella "seguiti, seguiti, non me lo abbandoni"
Intanto Nepo aveva trovata la chiave buona, aperto lo stipo e trattane, dopo breve frugare, una carta piegata. L'accostò alla candela cui reggeva con la sinistra, vi lesse una soprascritta, abbruciandosi i capelli. Il Mirovich, rientrato allora senza ch'egli se ne avvedesse, gli si avvicinò, gli disse con la sua severa voce proba:
A me.
Bisogna leggere subitodisse Nepo, confuso. "Voglio sapere dove sono, in casa di chi."
Uscirono insieme.
Anche le preghiere in expiratione erano finite. Don Innocenzo pregò ancora per qualche tempo, indi tolse congedo da Giovanna, che non fu in grado di articolar parola.
La povera vecchia rimasta sola col padrone, pose sulla testiera del letto le candele accese da Nepo, mise a posto le seggiole sparse per la stanza, studiandosi di non far rumore come se il conte dormisse. Sedette poscia presso al letto guardando il crocifisso posato sul petto del cadavere. Ella aveva fedelmente, umilmente servito il conte per quarant'anni, senza toccarne mai parole aspre né affettuose, ma sentendone la intiera fiducia e una coperta benevolenza. Gli aveva sempre voluto, in vita, un bene rispettoso, da essere inferiore. Mai mai non gli era stata così vicina come adesso ch'egli non era più il padrone in casa sua, che gente estranea metteva mano liberamente alle chiavi, mentre ella sola di tanti servi, di tanti amici gli rimaneva accanto, devota come nei giorni passati della sua alterezza, della sua forza.
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Malombra
di Antonio Fogazzaro
pagine 519 |
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