Nepo chiamò sua madre all'uscio del salotto. Si vide dietro a lui l'avvocato Mirovich seduto al tavolo con una lucerna, un calamaio e due gran fogli davanti a sé. La contessa entrò in salotto e l'uscio ne fu richiuso sul viso a Steinegge. Questi trovò nella loggia il Vezza appoggiato alla balaustrata verso il lago; gli si avvicinò col cappello in mano per parlargli; ma colui, guardatolo appena e accennatogli di tacere, volse il capo dall'altra parte, ascoltando.
Si udì un gemito lungo, debole.
Donna Marina?
disse Steinegge.
L'altro non rispose, ascoltò ancora. Non si udì più nulla. Allora quegli, come uscisse da un sogno, si mise a parlare affrettatamente:
Cose orribili, sa. Le hanno detto?...
Sì, mi ha detto qualche cosa il signor curato.
Oh, Lei non ha idea di quel momento! Guardi.
Il Vezza rappresentò tutta la scena appuntino, parlando sottovoce, interrompendosi tratto tratto per ascoltare.
Io escodiss'egli poi "con l'avvocato Mirovich, sa, l'avvocato dei Salvador. Trovo nel corridoio donna Marina in preda a convulsioni terribili. Non gridava perché aveva addentato l'abito dell'altro qui al petto, gemeva. Si chiama il medico, la cameriera, la moglie del giardiniere. A gran pena riescono a trarla su per la scala, senza poterle aprir la bocca.
Dopo non so più niente di positivo; deve aver continuato il delirio violento. Adesso si capisce che è più tranquilla, ma fino a poco fa sono state, mi dicono, urla, maledizioni, suppliche incomposte. Parlava sempre a quell'altro. Ed egli è là, capisce?
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Malombra
di Antonio Fogazzaro
pagine 519 |
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