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      Ma egli non pensava a questo; guardava venire avanti lentamente il giorno, la piova, le onde. Gli occhi vedevano male: si sentiva la testa grave più del piombo, il petto voto d'ogni sentimento. Si conosceva affondato nel disonore della sua azione sleale, in una cupa necessità: legarsi a Marina, pazza o no. Ed era tranquillo, freddo sino al cuore. Il cielo, il lago, la piova vicina gli consigliavano sonno. Chiuse la finestra, si gittò vestito sul letto. Lo trovò soffice, morbido più che mai, sentì dolce come una carezza la tela del guanciale, desiderò dormire, dimenticare; si assopì e vide uno sconosciuto che lo guardava.
      Lo guardava placidamente, per qualche tempo; quindi alzando le spalle e le sopracciglia, porgendo le mani aperte, scoteva il capo quasi per dire: non c'è verso. Silla credette capire, come a cosa più naturale del mondo, che colui gesticolava sì, ma non poteva parlare perché era morto. Allora lo riconobbe tosto per un vecchio amico di famiglia suicidatosi quindici anni prima. Ne riconobbe la gran fronte calva, il mento raso, aguzzo fra due solini diritti, sopra una cravatta nera con la spilla di malachite. Meravigliò in pari tempo di non averlo riconosciuto subito; dovea saperlo che sarebbe venuto. Infatti il fantasma, leggendogli nel pensiero, gli sorrise. Quel sorriso fu per Silla un'altra rivelazione. Vide in se stesso tutta la occulta via di un pensiero, dai giorni dell'adolescenza sino a quel momento. Aveva cominciato da una dolce malinconia, dal desiderio vago di una patria lontana: era diventato poscia presentimento fugace, quindi sospetto sempre combattuto, sempre più gagliardo, sempre coperto di segreto come qualche lento male orribile che ci rode, di cui si vede il nome col pensiero e non vogliamo confessarlo mai; prevaleva finalmente, alla volontà, diventava un ragionamento irrefutabile, una sentenza opprimente in tre parole: INETTO A VIVERE. Silla se le vedeva dentro chiare queste tre parole, e il fantasma sorrideva sempre, si avvicinava, gli procedeva pesante su per la persona, con gli occhi sbarrati, mettendogli un gelo nelle ossa, fermandogli il respiro.


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Malombra
di Antonio Fogazzaro
pagine 519

   





Marina Silla