Il curato e Pasotti fiutavano, tra un sospiro di dolcezza e l'altro, certo indistinto odore caldo che vaporava dal vestibolo aperto della villa.
Ehi, risotto, risotto
, sussurrò il prete con un lume di cupidigia in faccia.
Pasotti, naso fine, scosse il capo aggrottando le ciglia, con manifesto disprezzo di quell'altro naso.
Risotto no
, diss'egli.
Come, risotto no?
, esclamò il prete, piccato. "Risotto sì. Risotto ai tartufi; non sente?"
Si fermarono ambedue a mezzo il vestibolo, fiutando l'aria come bracchi, rumorosamente.
Lei, caro il mio curato, mi faccia il piacere di parlare di posciandra
, disse Pasotti dopo una lunga pausa, alludendo a certa rozza pietanza paesana di cavoli e salsicce. "Tartufi si, risotto no."
Posciandra, posciandra
, borbottò l'altro, un poco offeso. "Quanto a quello..."
La povera mansueta signora capì che litigavano, si spaventò e si mise a cacciar puntate al soffitto coll'indice destro, per significare che lassù potevano udire. Suo marito le afferrò la mano in aria, le accennò di fiutare e poi le soffiò nella bocca spalancata: "Risotto!"
Lei esitava, non avendo udito bene. Pasotti si strinse nelle spalle. "Non capisce un accidente", diss'egli: "il tempo cambia"; e salì la scala seguito da sua moglie. Il grosso curato volle dare un'altra occhiata alla barca di don Franco. "Altro che Carabelli!", pensò; e fu richiamato subito dalla signora Barborin che gli raccomandò di metterlesi vicino a tavola. Aveva tanta soggezione, povera creatura!
I fumi delle casseruole empivano anche la scala di tepide fragranze.
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