El sior Zacomo...
Adagio
, lo interruppe la dama. "Non le permetto di burlarsi dei veneti, e poi non è vero che nel Veneto si dica Zacomo."
Ella era nata a Padova, e benché abitasse a Brescia da quasi mezzo secolo, il suo dire lombardo era ancora infetto da certe croniche patavinità. Mentre Pasotti protestava, con cerimonioso orrore, di aver solamente inteso imitar la voce dell'ottimo suo vicino ed amico, l'uscio si aperse una terza volta. Donna Eugenia, sapendo bene chi entrava, non degnò voltarsi a guardare, ma gli occhi spenti della marchesa si posarono con tutta flemma su don Franco.
Don Franco, unico erede del nome Maironi, era figlio di un figlio della marchesa, morto a ventott'anni. Aveva perduto la madre nascendo ed era sempre vissuto nella potestà della nonna Maironi. Alto e smilzo, portava una zazzera di capelli fulvi, irti, che l'aveva fatto soprannominare el scovin d'i nivol, lo scopanuvoli. Aveva occhi parlanti, d'un ceruleo chiarissimo, una scarna faccia simpatica, mobile, pronta a colorarsi e a scolorarsi. Quella faccia accigliata diceva ora molto chiaramente: "Son qui, ma mi seccate assai".
Come stai, Franco?
, gli chiese la nonna, e soggiunse tosto senz'aspettare risposta: "Guarda che donna Carolina desidera udire quel pezzo di Kalkbrenner."
Oh no, sa
, disse la signorina volgendosi al giovine con aria svogliata. "L'ho detto, sì, ma poi non mi piace, Kalkbrenner. Preferisco chiacchierare con le signorine."
Franco parve soddisfatto dell'accoglienza ricevuta e andò senza aspettar altro a discorrere col curatone d'un buon quadro antico che dovevano vedere insieme nella chiesa di Dasio.
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