Pure, pensava adesso, se il matrimonio si fosse fatto pubblicamente, pacificamente, col solito proemio di cerimonie ufficiali, di contratti, di congratulazioni, di visite, di pranzi, tanto tedio sarebbe riuscito più ripugnante all'amore che questi contrasti.
Lo scosse la voce del prefetto che lo chiamava dal giardino per annunciargli la partenza delle Carabelli. Franco pensò che se scendeva avrebbe dovuto fare delle scuse e preferì non lasciarsi vedere. "Doveva romperglielo sulla faccia il piatto!", gli stridette su il prefetto tra le mani accostate alle guance. "Doveva romperglielo sulla faccia!"
Poi se n'andò e Franco vide il barcaiuolo delle Carabelli scendere ad apparecchiar la barca. Lasciò allora la finestra e seguendo i pensieri di prima, aperse il cassettone, stette lì a contemplare, come distratto, uno sparato di camicia ricamata, dove lucevano già certi bottoncini di brillanti che suo padre aveva portati alle nozze proprie. Gli dispiaceva andar all'altare senza un segno di festa, ma questo segno, si capisce bene, non doveva essere facilmente visibile.
Nel cassettone profumato d'ireos tutto era disposto con la particolare eleganza dell'ordine fatto da uno spirito intelligente, e nessuno vi metteva le mani tranne lui. Invece le sedie, lo scrittoio, il piano erano tanto disordinatamente ingombri che pareva esser passato per le due finestre della camera un uragano di libri e di carte. Certi volumi di giurisprudenza dormivano sotto un dito di polvere, e non una foglia della piccola gardenia in vaso, sul davanzale della finestra di levante, ne aveva un atomo solo.
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Carabelli Franco Carabelli
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