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      Questi eran già sufficienti indizi, là dentro, del bizzarro governo d'un poeta. Un'occhiata ai libri e alle carte ne avrebbe fornite le prove.
      Franco aveva la passione della poesia ed era poeta vero nelle squisite delicatezze del cuore; come scrittore di versi non poteva dirsi che un buon dilettante senza originalità. I suoi modelli prediletti erano il Foscolo e il Giusti; li adorava veramente e li saccheggiava entrambi, perché l'ingegno suo, entusiasta e satirico a un tempo, non era capace di crearsi una forma propria, aveva bisogno d'imitare. Conviene anche dire, per giustizia, che a quel tempo i giovani possedevano comunemente una cultura classica fattasi rara di poi; e che dagli stessi classici venivano educati a onorare l'imitazione come una pratica virtuosa e lodevole. Frugando fra le sue carte per cercarvi non so cosa, gli vennero alle mani i seguenti versi dedicati a un tale di sua conoscenza e nostra conoscenza, che rilesse con piacere e ch'io riferisco per saggio del suo stile satirico:
     
      Falso occhio mobile,
      Mento pelato,
      Lingua di vipera,
      Cor di castrato,
     
      Brache policrome,
      Bisunto saio,
      MaiuscolissimoCappello a staio.
     
      Ecco l'immagineDel vil Tartufo
      Che l'uman genereE il cielo ha stufo.
     
      Il Giusti e la passione d'imitarlo erano quasi soli in colpa di tanta bile, perché davvero Franco non ne aveva nel fegato una così gran dose. Aveva collere pronte, impetuose, fugaci; non sapeva odiare e nemmanco risentirsi a lungo contro alcuno. Un saggio dell'altra sua maniera poetica stava sul leggìo del piano, in un foglietto tutto sgorbi e cancellature:


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Piccolo mondo antico
di Antonio Fogazzaro
pagine 421

   





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