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      Egli era un apostolo di Raspail e aveva convertito anche Franco, molto soggetto alle infiammazioni di gola, dalle sanguisughe alla sigaretta di canfora.
      Nello studiolo, nuovo amplesso, molto stretto e molto lungo. "Tanto, tanto, tanto!", esclamò Gilardoni sottintendendo un mondo di cose.
      Povero Gilardoni, gli occhi gli luccicavano. Aveva sperato invano una felicità simile a quella dell'amico suo! Franco intese, s'imbarazzò, non seppe dirgli nulla, e ne seguì un silenzio così significativo che il Gilardoni non poté sopportarlo e si mise ad accendere un po' di fuoco per riscaldare il caffè che aveva preparato. Franco si offerse per questa bisogna e il professore accettò allegando il suo mal di capo, si mise a disfare il turbante davanti a una scodella d'acqua sedativa. "Dunque", diss'egli, dominando la propria emozione con uno sforzo di volontà, "mi racconti." Franco gli raccontò ogni cosa dal pranzo della nonna fino alla cerimonia nuziale nella chiesa di Castello, eccetto, naturalmente, il colloquio segreto con mamma Teresa. Il professore Beniamino, che intanto si era rimesso il turbante, si fece coraggio a mezzo. "E...", diss'egli sostituendo al nome amato una specie di gemito sordo, "come sta?" Udito dell'allucinazione, esclamò: "Una lettera? Le pareva di vedere una lettera? Ma che lettera?". Questo, Franco non lo sapeva. Uno stridore sulla brace interruppe la conversazione; il caffè bolliva a scroscio e si versava.
      Il Gilardoni somigliava al suo giovane amico pure in questo che gli si leggeva il cuore in faccia.


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Piccolo mondo antico
di Antonio Fogazzaro
pagine 421

   





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