Ma parli, si quieti, si quieti!
, disse Franco sciogliendosi dolcemente da quell'abbraccio.
Il professore lo lasciò e si portò le mani alle tempie gemendo: "Oh che animale, che animale, che animale! Potevo ben lasciarla tranquillo, potevo ben aspettare domani! o posdomani! Ma ormai è fatta, è fatta".
Afferrò le mani di Franco. "Creda, avevo cominciato a spogliarmi quando mi ha preso come una vertigine e lì, andiamo, metti su da capo le vesta, e via, corri qua come un matto, senza lume! Nella furia ho persin rovesciato la scodella dell'acqua sedativa!"
Accendiamo il lume?
, chiese Franco.
No no no! Meglio parlare al buio, meglio parlare al buio! Guardi, mi metto persino qui, io!
Andò a sedere al suo scrittoio fuori del chiaror debole ch'entrava dalla finestra, e parlò. Parlava sempre nervoso e disordinato; figurarsi adesso con l'agitazione che aveva in corpo.
Comincio, neh? Chi sa cosa dirà, caro don Franco! Tutte chiacchiere inutili, queste; ma cosa vuole, là, pazienza. Comincio dunque; di dove comincio? Ah Signore, vede che bestia sono che non so nemmeno più dove cominciare? Ah, quell'allucinazione! Sì, Le ho detto una bugia poco fa, posso benissimo sospettare l'origine di quell'allucinazione. Si tratta d'una lettera, proprio d'una lettera che io ho fatto vedere due anni sono alla signora Teresa. Una lettera del povero don Franco Suo nonno. Bene, adesso cominciamo dal principio.
Il mio povero papà, negli ultimi giorni della sua vita mi parlò di una lettera di don Franco che avrei trovato nel cassettone dov'erano tutte le carte da conservarsi.
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